Torna puntuale ogni anno, con la sua scia di sostenitori e detrattori, il Blue Monday, il “giorno più triste dell’anno”. Un complesso calcolo matematico studiato a inizio 2000 da Cliff Arnall, uno psicologo della Cardiff University, colloca questa malinconica giornata nel terzo lunedì di gennaio: è in queste ore che si accumulerebbe, infatti, la summa di sensazioni negative dovute alle condizioni meteorologiche, i debiti accumulati durante le festività, la distanza dalle prossime ferie e il calo di motivazione. A niente è valso, contro il diffondersi virale di questa credenza, l’impegno del dottor Dean Burnett, che, dopo anni trascorsi a smontare la teoria di Arnall, nel 2012 si è definitivamente arreso. In un editoriale pubblicato quell’anno sul Guardian lo ha fatto però in modo ironico: “il terzo lunedì di gennaio è diventato fonte di umiliazione e depressione anche per me, è il mio Blue Monday”.
Ecco come è nata la credenza del Blue Monday
Insomma, per sostenere che il lunedì fosse un giorno difficile e che gennaio fosse un mese particolarmente lento e indigesto non ci voleva uno studio (tra l’altro pare che Arnall fosse soltanto un tutor, non un professore, e che la Cardiff University abbia preso le distanze dalla sua ricerca). Il Blue Monday, il giorno più triste dell’anno, torna però ad autoalimentarsi a ogni inizio anno. Una tradizione nata in Gran Bretagna, dove il disagio del Blue Monday è molto sentito, e in breve tempo diffusasi in tutta Europa ma che, secondo alcuni, è una bufala. A sostenerlo, in particolare, Wired, che fa riferimento a una vecchia campagna pubblicitaria di un’agenzia inglese di pubbliche relazioni che commissionò lo studio al giovane psicologo per invogliare la gente ad acquistare viaggi.